La storia di Kirk Noble Bloodsworth è un esempio straordinario di come la scienza possa correggere errori giudiziari e salvare vite. Questo caso è passato alla storia non solo per l’assoluzione di un uomo accusato ingiustamente, ma anche per il primo utilizzo della tecnologia del DNA negli Stati Uniti per scagionare un condannato a morte.
Il crimine e l’accusa
Nel 1984, a Rosedale, Maryland, la polizia trovò il corpo senza vita di Dawn Hamilton, una bambina di nove anni. La vittima era stata violentata e uccisa con brutale violenza. L’omicidio generò un forte clamore mediatico e una forte pressione sulle autorità per trovare il colpevole. Kirk Bloodsworth, un ex marine ventitreenne, fu arrestato dopo che alcuni testimoni lo identificarono come sospetto. Nonostante la totale assenza di prove fisiche contro di lui, Bloodsworth fu dichiarato colpevole di stupro, omicidio e condannato a morte nel 1985. La condanna si basava su testimonianze oculari, che si rivelarono poi false.
L’arrivo della biologia forense
Durante gli anni in carcere, Bloodsworth si dichiarò sempre innocente e continuò a cercare una soluzione per provare la sua estraneità al crimine. Nel 1992, grazie alla perseveranza dei suoi avvocati e all’interesse della comunità scientifica, furono analizzati dei reperti biologici legati al caso. In particolare, venne utilizzata una nuova tecnologia: il test del DNA, una tecnica emergente sviluppata nel Regno Unito da Sir Alec Jeffreys nel 1984. Si basava sul confronto delle sequenze genetiche presenti nel materiale biologico prelevato sulla scena del crimine. Nel caso di Bloodsworth, il materiale genetico raccolto (seme dell’aggressore) fu confrontato con il suo DNA.
Cosa dice la scienza
Il DNA (acido deossiribonucleico) è l’elemento fondamentale che contiene le informazioni genetiche uniche di ogni individuo. Ogni essere umano, salvo i gemelli identici, possiede una sequenza di DNA irripetibile. Nel campo della biologia forense, è possibile analizzare tracce come sangue, saliva, capelli o sperma per identificare o escludere un individuo con altissima precisione. La tecnica utilizzata nel 1992 si basava sulla PCR (Polymerase Chain Reaction), una metodologia che permette di amplificare piccole quantità di DNA fino a renderle sufficienti per un’analisi dettagliata. Confrontando il profilo genetico del DNA trovato sulla scena del crimine con quello di Bloodsworth, si scoprì che non c’era alcuna corrispondenza.

Immagine generata da DALL-E
Il verdetto: innocente
La prova scientifica fu inconfutabile. Nel 1993, dopo 9 anni di carcere, Bloodsworth fu dichiarato innocente e rilasciato, diventando il primo prigioniero condannato a morte negli Stati Uniti ad essere scagionato grazie all’analisi del DNA. Il vero colpevole fu identificato solo anni dopo, nel 2003, sempre grazie alla tecnologia del DNA.
Impatto e riflessioni
Il caso di Bloodsworth ha avuto conseguenze enormi sia nel sistema giudiziario che nella scienza forense. Da allora, il DNA è diventato uno degli strumenti più potenti per garantire giustizia, ridurre errori e risolvere crimini rimasti irrisolti. Il progresso della biologia forense è una luce di speranza per tutte le vittime di ingiustizie: il DNA non mente, e con esso la verità può finalmente emergere.
Oggi, Kirk Bloodsworth è un attivista impegnato contro la pena di morte e per la riforma del sistema giudiziario.
Aggiungi commento
Commenti